04 agosto 2008

Cosa ha fatto Celso nel week end

“Il Grande Nord.”
…Cani da slitta… che vita di merda!

“Il grande nord” , l’ultimo film proiettato in dojo per la rassegna: serate cinematografiche allo Z.N.K.R. , film più dibattito e tanta pappa.
Premetto che a me questo film non è piaciuto.
Non mi è piaciuto esteticamente e questo può rendermi vagamente refrattario ai suoi contenuti.
Se cercate una ponderata ed obiettiva critica cinematografica, vi conviene guardare altrove, io vi ho avvisati.
Come dicevo questo film non ha suscitato i miei entusiasmi:
non mi è piaciuta la ridondanza della fotografia, la continua ricerca della bella immagine e del paesaggio suggestivo; non mi è piaciuta l’enfasi con cui la colonna sonora sottolineava ogni “bella scena” ; non mi è piaciuta la struttura ibrida del film, a metà strada tra il documentario e il racconto intimistico, un po’ l’ uno e un po’ l’altro senza essere compiutamente nessuna delle due cose; non mi è piaciuto il tentativo del regista di costruire un’ epica attorno alla “normalità” della vita del protagonista.
Certo è pur vero che si tratta di una normalità completamente aliena dal nostro vissuto, e statisticamente poco praticata (anche sulle montagne rocciose dello Yukon non è che la professione di cacciatore di pelli sia più molto diffusa), e proprio dal confronto tra le due quotidianità, quella del cacciatore e quella dello spettatore il film trae forza e suggestione “esotica”.
Non dimentichiamo però che il protagonista è nato, e cresciuto, e sempre vissuto in quel contesto: cani da slitta, pellicce, notti a –40°c e tutto il resto; Non sono sicuro che per lui attraversare i grandi spazi del suo territorio di caccia, o costruirsi una casa di tronchi sia tanto diverso, emotivamente, dal fare il pendolare per andare al lavoro e friggersi gli occhi di fronte ad uno schermo per otto o nove ore; cioè, sicuramente cose diverse danno emozioni diverse; sicuramente il suo stile di vita lo pone molto più a contatto con ciò che noi, stabilendo una categoria squisitamente culturale, siamo soliti definire “natura”; ma vorrei sottolineare che ciò che a noi spettatori sembra tanto suggestivo rientra nella dimensione più quotidiana, più prosaica, della vita del protagonista: Io ci muoio se mi mettete nelle condizioni climatiche ed ambientali di Norman, il cacciatore, ma voglio vederlo ad uscir sano di mente da una settimana “ impiegatizia” a Milano.
Scrivo questo perché la pellicola, benché sia francese (cosa che l’ autore dell’articolo considera già di per sé un difetto), ha offerto tutta una serie di interessanti spunti di discussione sul rapporto uomo-natura e, più in generale, tra l’uomo e il suo contesto, e sui vari modi di essere presente in esso, di essere guerriero , cacciatore ecc… anche domande del tipo: “Quanto può esser difficile, vivere in quel modo, in quell’ isolamento, dipendendo sol da sé per la propria bruta sopravvivenza, rapportandosi più con la terra e i propri cani che coi propri simili ? E quanto può esser facile invece entrare in contatto con le proprie emozioni e sensazioni quando ci sono solo quelle da ascoltare e il rumore del vento? E io che invece me ne sto a Milano, Lecco, Varese ecc…io che calpesto asfalto, e cemento, e mattonelle più che erba che dovrei fare allora?
Detto questo la visione del film è stata comunque una bella occasione per farsi domande e notare cose. Per esempio io sono stato molto colpito dal rapporto del cacciatore coi suoi cani. Anch’io, come immagino molti tra coloro che mi leggono ho avuto un cane: una boxerina affettuosissima che negli anni è diventata la mia “sorella pelosa”, la cui utilità pratica si limitava alla funzione di Scaldapiedi aromatizzato al cane bagnato d’ inverno e ferma porta d’estate…l’ ho amata molto e molto mi sono divertito con essa. In effetti la mia, ma penso di poter dire “la nostra” relazione coi nostri compagni animali, è essenzialmente di tipo affettivo, essi dipendono in toto, o quasi, da noi per la loro sopravvivenza e noi ci gratifichiamo affettivamente attraverso il nostro reciproco relazionarci, senza che il nostro continuare a mangiare o respirare abbia più di tanto a che fare con quello che i nostri animali domestici sono o sanno fare.
Attraverso il film ho potuto vedere una realtà relazionale completamente diversa: se è vero che la muta di cani del trapper dipende da lui per non finire in pasto ai lupi, è altrettanto vero che la dipendenza è vicendevole, che senza di essi il cacciatore non potrebbe neppure attraversare il suo vasto territorio di caccia, controllare le trappole, trasportare le pelli ecc…nulla che non potrebbe fare anche con una motoslitta ( come l’ amico che ad un certo punto del film Norman va a trovare ), solo che i cani hanno anche il vantaggio di tenere un po’ più compagnia di una motoslitta.
Fin qui le cose sembrerebbero esser chiare e comprensibili: un rapporto più adulto e paritetico tra il trapper e la sua muta, un’ utilità reciproca in cui bipede e quadrupedi fan parte dello stesso branco ed insieme sopravvivono in condizioni ostili, un “branco misto” di cui Norman è il maschio alfa, il tutto cementato da relazioni gerarchiche ed affettive ( dopo settimane di solitudine immagino che parlare coi propri “compagni di caccia” possa essere utile al proprio equilibrio psicologico ).
Solo che io questo profondo legame tra l’ uomo del nord ed i suoi cani non l’ ho visto, o almeno non mi sembra che il regista lo mostri.
Probabilmente la mia percezione della cosa è alterata da quelle che sono le mie personali esperienze nel rapporto con un animale, un rapporto che , come da premessa non è un rapporto tra adulti: un cane domestico occidentale è tendenzialmente un eterno cucciolo, eternamente dipendente e di utilità più che altro affettiva. Norman invece mi sembra curiosamente privo di empatia nei confronti dei propri cani, si rapporta ad essi come io mi rapporterei ad un attrezzo agricolo, e le cure che serba loro sembrano, per l’ appunto la manutenzione di un attrezzo. E’ vero che una considerevole parte del film è dedicata alla relazione prima col suo cane preferito e poi, dopo la dipartita di esso, con la sua sostituta tanto nella muta quanto nei suoi sentimenti…ma la mia impressione è che molti di questi sentimenti siano vincolati alla bravura-utilità di questi cani all’ interno della muta. Il suo amico cane ci è da subito presentato come capomuta, come il cane più utile, i suoi compagni che pure sono ugualmente immersi nella neve e passano le loro giornate trascinando in giro Norman e il suo carico di pelli, trappole ed attrezzature sembrano affettivamente neutri, irrilevanti per il cacciatore, come se, perennemente immerso nei grandi spazi del nord, nel suo cuore non vi fosse spazio per provare affetto per più di un cane alla volta. Probabilmente la relazione tra il trapper e i suoi cani è anche più sana ed evoluta di quella che io ho sempre avuto coi miei animali domestici, però cacchio, se qualcuno, cane, persona o rettile si sbattesse per la mia sopravvivenza la metà di quanto fanno i suoi cani forse sarei un poco più espansivo ed affettuoso nei suoi confronti… Io però sto scrivendo comodo ed al calduccio di fronte al pc e non mi sono mai trovato in situazioni tanto estreme, non so quindi valutare quanto la durezza delle condizioni ambientali può influire su questo genere di relazioni. Mi limito solo a notare che quando a Norman muore il cane e gli viene offerta una sostituta nella muta egli inizialmente rifiuta di rapportarsi ad essa, ma non perché il posto che l’amico dipartito occupava nel suo cuore non potesse esser colmato da un altro cane, no la nuova cagna è rifiutata in quanto inutile, perché è un cane da corsa e non da tiro, perché non è “produttiva”. Solo quando essa si rivelerà utile, salvandogli la vita, solo allora il rapporto tra i due sembrerà mutare e farsi più affettuoso; gli altri cani, quelli meno pronti a gettarsi in un lago ghiacciato con slitta, bardature e quant’ altro per salvare il loro affezionato padrone resteranno sullo sfondo, sia della storia che dell’affettività del cacciatore.
Buona parte della pellicola è basata sul trapper che si relaziona col suo ambiente, su Norman che vive la vita di Norman, il rapporto coi cani ne occupa una bella fetta, più del rapporto con la propria compagna verrebbe da pensare ( di certo nel film parla più col suo cane che con essa ), quello che invece non c’è è il rapporto con le sue prede, che si vedono pochissimo, quasi per nulla. “Ma come?”, mi son detto: “un film su uno degli ultimi cacciatori di pelli quasi completamente privo di prede?”. Sembra che il cacciare, l’uccidere qualcosa che era vivo al fine di sopravvivere, non comporti per il cacciatore nessun significato particolare, tutto sembra ridursi ad un: piazzo le trappole, dopo un po’ torno a prender i corpi, li scuoio e quando ne ho abbastanza scendo in città e vendo il tutto. Mi aspettavo qualcosa di più profondo al riguardo, non dico ringraziamenti allo spirito di lontre e castori o una qualche forma di ritualità del cacciare, ma almeno un segno del riconoscere un legame con le proprie prede, un riconoscere loro una funzione e un’importanza per la propria esistenza che va al di là della commercializzazione delle loro spoglie. In realtà anche il suo rapporto cacciatore-preda sembra improntato ad una bruta funzionalità che poco spazio sembra lasciare ad altro. Le sue prede sono per lui essenzialmente una fonte di reddito, al massimo un elemento del paesaggio ma, almeno nel contesto del film, non sembra particolarmente legato ad esse o dar loro una qualche importanza. Non lo so, forse quello del trapper è solo un rapporto sano col proprio cibo e il proprio lavoro: non credo che un leopardo si faccia menate sulla gazzella che sta masticando, forse questi pensieri su di un legame predatore-preda sono cose che posso permettermi io perché non devo cacciare per riempirmi la pancia e stare al caldo; in effetti il poter uscire a prendere una boccata d’ aria senza portarsi dietro una lancia di selce è una cosa che ti da un bel po’ di tempo libero da occupare con pensieri oziosi…Eppure io penso che l’ essere umano abbia un’identità di predatore, una consapevolezza di predatore, diversa da quella che può avere un leopardo o un coccodrillo, non migliore, diversa. Diversa è la capacità e la tendenza dell’essere umano di concepire un tempo altro dal “qui ed ora”, diversa la tendenza a stabilire relazioni tra le cose anche a livello simbolico e senza un diretto nesso causale tra loro, ecc…diverso il ripercorrere mentalmente o l’anticipare nella fantasia l’ atto di uccidere, cacciare e cibarsi, diversa la capacità di stabilire relazione con l’ altro da sé inteso anche come altro dall’umano, si pensi ai graffiti preistorici raffiguranti scene di caccia o al significato dell’ animale nelle culture degli indiani d’ America. Questa capacità di rapportarsi con l’atro, col non umano, di vedere cacciatore e preda come interdipendenti e come parte di uno stesso flusso ciclico in cui è impossibile un rapporto di dominanza di una parte sull’altra io in questo film non l’ ho visto, mi aspettavo di vederlo, l’ ho cercato, ma non l’ ho visto. Sarà per questo che sono rimasto deluso, non so.
Per la verità questo ultimo cacciatore del grande nord mi sembra parecchio spocchioso con tutto il suo parlare dell’importanza dei cacciatori per mantenere l’ equilibrio ecologico nei loro territori, del suo essere “necessario” al territorio perché esso mantenga la propria salute. Cioè, questo tizio se ne sta tutto il tempo a “contatto con la natura” (qualunque cosa questo voglia dire), da essa prende le materie prime per farsi una casa, buona parte del proprio cibo e la fonte del proprio reddito. Secondo i ritmi delle stagioni e dell’ambiente che lo accoglie regola i propri ritmi e le proprie priorità, e contro le asperità dell’ ambiente in cui è calato lotta tutti i giorni, vede i suoi simili una volta l’ anno e quotidianamente vive a contatto con altre specie perfettamente integrate nel suo stesso ambiente, nel territorio di caccia da cui egli stesso dipende… E a starlo a sentire sembra che tutto si riduca ad un: ”Và, và che disordine questo territorio pieno di animali da pelliccia e salmoni! Per fortuna che ci sono qua io a sterminare un po’ di castori, linci, lontre e quant’ altro, e a pescare un po’ di inutile pesce, che se non ci fossi io a sfoltire un po’ i branchi sai il casino che ti combinerebbero lasciati a loro stessi…e mi pagano pure poco le pelli! Cazzarola! Che se non ci avessi la coscienza ecologica che ci ho, mollerei tutto e poi voglio vederli orsi e lupi a fare il mio lavoro da soli, voglio vederli…tsè”.
Ecco, ironia a parte, Norman mi sembra un po’ troppo consapevole di essere in cima alla catena alimentare, non sembra sentirsi parte di un flusso di un qualcosa di più grande, magari la sua vita sarà anche a basso impatto ambientale, ma io lo vedo molto attento “al territorio” e poco attento ai suoi “coinquilini” se non come risorsa da sfruttare. Paradossalmente mi sembra poco in armonia col suo contesto, poco interessato alla cosa forse. Tant’è che passa in solitudine enormi quantità di tempo pur avendo una compagna, con cui comunque non è che faccia queste gran chiacchierate anche quando la vede; si mostra fiero della propria vita e dei propri valori ma intanto non fa figli cui provare a tramandare il proprio modello comportamentale e i propri valori; parla con quieta rassegnazione delle compagnie del legno che si mangiano i vecchi territori di caccia e dell’inevitabile andare in malora del suo stesso territorio, e di quello del suo amico, alla loro dipartita, e questo senza che la cosa apparentemente lo tocchi più di tanto, benché si ritenga un paladino della salute del territorio il cui ruolo è indispensabile.
Io in Norman vedo un orgoglio dell’estinzione, dell’ essere uno degli ultimi della sua specie , che non posso considerare sano o “naturale”, vedo un compiacimento nell’isolamento che non so quanto abbia a che fare con le sole condizioni ambientali e che non necessariamente porta alla saggezza o ad una superiore comprensione delle cose, vedo una rassegnata assenza di futuro che un po’ mi deprime e un po’ mi irrita come manifestazione di spocchia.
No, come vi premettevo questo film non mi è piaciuto, se cercavate una ponderata ed obiettiva critica cinematografica dovevate guardare altrove…io vi avevo avvisati.



Celso Maffi


Ha visto un film.

P.S.: l'articolo è stato scritto per la rivista del suo dojo, quindi se vi chiedono dove l'aveta già letto acqua in bocca ;-)

P.P.S.: vi ricordo che un dojo è una palestra dove si praticano arti marziali, e che io sono gracile ed indifeso... pensateci prima di spifferare che ho pubblicato l'articolo di Celso!

P.P.P.S.: in realtà l'articolo era ben impaginato e con un immaginina all'inizio... ma l'arte del copia / incolla non mi è propria.